January 30, 2016

ZU DEN BERLIN SELBST

E come non ci fosse un domani, ci cacciammo senza esitazione per le lande teutoniche.
In Germania, si sa bene, i fenomenologi sono di casa. 
Si sentono a casa, una casa con i riscaldamenti fuori uso, soprattutto in dicembre.


L'accoglienza ottima e senza macchia non ha fatto rimpiangere ai nostri le pause caffè parigine all'Ospedale della Salpetriere, divenuto in questi anni pian piano un luogo scomodo anch'esso (per volere degli organicismi trionfanti anche tra i giardini che furono di Philippe, Martin e delle isteriche), per lo sparuto manipolo di sopravvissuti al riduzionismo statunitense. Un luogo scomodo dove speriamo presto di fare ritorno. Senza patria, senza la statua di Philippe Pinel da omaggiare, dentro giacche strette e cappelli invernali, il piccolo gruppo ha fatto proprio il quartiere di Charlottenburg che lo ospitava in casa di cari amici e quindi il percorso ghiacciato verso la Siemens-Villa, sede della Immanuel Diakonie, sulle rive del Kleine Wannsee.

                                        
 
Sulla costa gelata pochi volatili, nelle acque ferme canottieri sfidavano l'alba regatando in piccoli gruppi guidati da rigidi allenatori.

                                           

Nella mattinata una missione impossibile andata per il meglio, quindi colazione e treni, suburbani, metro e regionali. Sino alle porte di Potsdam.

        

Accolti come a casa dal gruppo storico continentale, i nostri si sono fatti largo alle mattinate di convegno carbonaro tra caraffe di caffè, the e pasticcini. Inglese europeo, ben diverso dall'inglese britannico, panini al salmone scozzese e frutta. 

All'apertura dei lavori, Gilberto Di Petta ricorda, insieme a Paolo Colavero, il maestro fiorentino della psichiatria e psicopatologia europea Arnaldo Ballerini. Sono parole, testimonianze per immagini e musica. Musalek ha parole preziose per Arnaldo. La schiera degli psicopatologi presenti si mette in piedi, sull'attenti, a tributare un minuto di silenzio e quindi un lungo applauso di lacrime. 

Ci siamo tutti, noi altri insieme a l'invincibile Cutting, il veggente Oyebode, il sempre pronto Varandas, l'eterno e insostituibile discussant Musalek, i carioca Messas e Tamelini, il furioso heideggeriano Dimopoulos, la professoressa Figueira con l'atleta Madeira, madrelingua britannico, il finnico dal capello color del ghiaccio Raymo Salokangas, questa volta senza la sua spilletta di Lenin appuntata sul loden chiaro, e qualche altro ospite dei nostri. 
Conosciamo Martin Heinze, ospite preciso e gentile, allievo del compianto Professor Blankenburg, del quale racconta scenette e viaggi compreso quello storico a Firenze, ospite di Arnaldo Ballerini. 
Per il primo anno non ci sono i colleghi greci residenti in Grecia e soprattutto manca il Professor Gabriel, uno dei patriarchi dei nostri incontri.

                                    

Sono giorni di lavori, presentazioni e soprattutto discussioni sfiancanti. Ci facciamo sentire di domande e risa, ma nulla e nessuno ha in mano la platea come Femi Oyebode, vero maratoneta della domanda in perfetto inglese britannico, del tempo scenico, del gesto che fa scuola e della citazione a dovere. Invidiabile davvero. Un killer. 
Insieme a John Cutting e a Michael Musalek, Femi tiene banco e bancali, pause e riprese.

                                     

Gilberto Di Petta offre quindi all'attento pubblico la sua relazione a conclusione della seconda giornata, passa in rassegna Kohut e Tellenbach, Cargnello e Callieri, trovando sponda certa nel gruppo viennese. Domande si susseguono al termine del suo intervento, Femi colpisce duro ma il nostro contrattacca. Musalek riesce a mantenere la discussione su livelli accettabili di civiltà, finisce tra applausi e strette di mano: "Gilberto, it's always a pelasure to hear you speaking!" (Femi).


Il ritorno quindi è sempre più rapido dell'andata, questione di tempo vissuto. Un taxi dove doveva essere e siamo a Tegel.

Ci siamo dati da fare e da dire, abbiamo perso la fiducia ma non la dignità.
Abbiamo salvato amici e compagni in difficoltà, attraversato Berlino, cenato a prezzo elevato in Potsdamer Platz, in kebabbari dietro casa, come da tradizione post convegno, solo per sentirci a riparo dai lupi dello stato islamico. Abbiamo progettato nuovi percorsi, assaggiato la gloria e riso da lontano con Matteo Rossi, vecchia scuola Salpe.
Ci siamo difesi bene, insomma. Legato amicizie ancora più strette, preparato il campo a nuovi e ulteriori naufragi. Che altro non potremo in ogni caso avere. 
Epici, certo, ma sempre naufragi.

                                      


Un pensiero infine al maestro Ballerini, che ci ha accompagnato a Parigi per la prima volta, nel 2007. Dobbiamo davvero molto ad Arnaldo. A lui dobbiamo l'asfalto, i libri di Céline sulla Senna, i soldatini della Legione, la vita aperta, il sapore del Calvados, il Brollo, la sua psicopatologia, le psicosi bianche, le pauci, la pipa, i Promessi Sposi di Manzoni. La notte dell'Innominato. Le questioni di frati tedeschi, Scilla e Cariddi e tanto, tanto ancora.
E' stato Arnaldo a portarci a Parigi. Dobbiamo ad Arnaldo la nostra strada europea. 
Ad Arnaldo offriamo il nostro sudore, l'ansia e la difesa dell'onore della psicopatologia italiana fuori confine. I chilometri che ancora non abbiamo percorso.





POST SCRIPTUM 

Corvi, sempre corvi. 
Intanto, fuori dalla stazione della metro, sulle rive del lago, i corvi ci attraversavano gracchiando la strada gelata. Per tutto il soggiorno, al gelo delle mani abbiamo osservato i corvi venirci incontro e salutarci, volteggiare tra le case, le locande senza più posto alle 18.30 e i mercatini di Natale ebbri di vino profumato, chiodi di garofano e cannella. 
I corvi, sempre loro, si passavano parola cantando la loro canzone... nulla più, mai più. 


                                                   


"...Qui dischiusi i vetri e torvo, — con gran strepito di penne,
grave, altero, irruppe un corvo — dell’età la più solenne:
ei non fece inchin di sorta — non fe’ cenno alcun, ma giù,
40come un lord od una lady si diresse alla mia porta,
ad un busto di Minerva, proprio sopra alla mia porta,
scese, stette e nulla più.

Quell’augel d’ebano, allora, così tronfio e pettoruto
tentò fino ad un sorriso il mio spirito abbattuto:
45e, «Sebben spiumato e torvo, — dissi, — un vile non sei tu
certo, o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto?
Quale nome a te gli araldi dànno a corte di Re Pluto?»
Disse il corvo allor: «Mai più!». (E. A . Poe)


                                             
              Nevermore





POST SCRIPTUM II



(... questa è solo per noi!)