November 13, 2010

Fenomenologia è psicoterapia.

Riportiamo qui di seguito una parte del contributo di Lorenzo Calvi da cui, primo a nostro giudizio, è nato il dibattito sulla esistenza o meno di una psicoterapia fenomenologica. Rimandiamo quindi a prossime nostre pubblicazioni oltre che alla rivista Comprendre, cui siamo idealmente e spiritualmente gemellati, che trovate tra i collegamenti.


"... Ma l’empatia è un’altra cosa. Di essa, soprattutto in ambito clinico, si può auspicare che sia calorosa, perché voglio vedere quale paziente possa desiderare d’avere un medico o uno psicologo o un infermiere freddo ed impartecipe. Non per questo si può sostantivare l’aggettivo e ritenere che l’empatia sia calore. L’autore da citare a proposito dell’empatia è, naturalmente, Edith Stein ed anche Rossi Monti e Ballerini A. C. lo fanno. Ma bisogna ricordare che il suo pensiero sull’empatia 1 I riferimenti cronologici senza indicazione dell’ autore rimandano ai miei lavori. si può riassumere dicendo che l’empatia è accorgersi dell’altro. E questo non vuol dire di per sé amarlo. Può ben voler dire anche odiarlo, e come! L’empatia è sentire la presenza dell’altro, farlo risaltare dallo sfondo come figura, trarlo dall’insignificanza, anzi, dall’inesistenza e fargli posto aprendo una nicchia nella nostra indifferenza. L’empatia è una prassi mimetica: “una mimèsi impercettibile dell’altro” (1969). Prassi perché essa si ha quando l’intenzionalità della coscienza si declina secondo modi, che possono essere espressi soltanto col ricorso a metafore corporali e di movimento: “andare incontro”, “aprirsi”, “accogliere”. Mimetica perché i movimenti intenzionali si modellano sull’altro. Quando la prassi mimetica è più che subliminare ed emerge alla coscienza come un fremito, allora ci siamo con l’immedesimazione, cosiddetta perché si ha l’impressione che l’altro si sia in qualche modo insinuato dentro di noi. A questo punto ci si può aspettare qualche segnale, che, reciprocamente, la stessa cosa si stia verificando nell’altro (1998). In questo scambio mimetico si gioca la partita del transfert e del controtransfert, ben lungi dal perdersi nella confusione d’una relazione omogeneizzata dal “fuoco” dell’empatia, come sospettano i nostri AA. Essi suggeriscono di ricordare “l’odio nel controtransfert” (Winnicott) ed io credo di averlo fatto implicitamente dicendo che l’incontro empatico è un “corpo a corpo” (1993; 1999 b), che il fenomenologo oscilla tra “la fusione e la separazione” (1993, 1999 b). Ho portato l’esempio d’un litigio accanto a quello dell’amore (1990). Ho lanciato addirittura la provocazione di esprimere l’incontro empatico con i termini più popolareschi e triviali, d’una fisicità fin troppo greve, per cui “si c.” oppure “non si c.” una persona quando ci si accorge o non ci si accorge di essa (1998). Chi parla di carattere contemplativo ed estetizzante dell’antropofenomenologia (De Martis e Petrella), di “deriva estetizzante” (Stanghellini) dovrebbe rivedere la sua critica a partire da queste posizioni. Mentre tutte le psicologie curvate in direzione psicoterapeutica (in primis, la psicoanalisi) prestano un’attenzione quasi esclusiva alla psiche, la fenomenologia ha valorizzato fortemente l’attenzione al corpo ed all’espressività corporea. È quel che si direbbe non presente a Rossi Monti, il quale introduce il suo scritto con una sintesi in cinque punti della fenomenologia, dove al primo punto si legge che viene considerato «organo di elezione, nel contatto col paziente, l’orecchio al posto dell’occhio (Stanghellini e Ballerini), volgendo prevalentemente l’attenzione alle esperienze interne e ai vissuti, ai sintomi dell’esperienza piuttosto che ai sintomi dell’espressione» (corsivi nel testo). Io direi invece che l’occhio non recede davanti all’orecchio, come se l’ascolto fosse qualcosa di più e di diverso dello strumento ineludibile della comunicazione verbale. Si può mettere l’accento finché si vuole sull’ascolto, ma non si può contestare all’occhio la sua priorità dopo aver chiarito, beninteso, che è in questione l’occhio non come organo naturalistico della vista bensì come organo trascendentale della visione: tutta la fenomenologia, vuoi psichiatrica vuoi filosofica, è un succedersi di metafore visuali e corporali. I “sintomi dell’esperienza” non potrebbero essere colti se non si traducessero in “sintomi dell’espressione”: e questa traduzione è il prendere corpo, l’incarnarsi di un’espressività a tutto campo, comprendente anche «ciò che non so dire a parole» (Callieri). Del resto gli stessi Rossi Monti e Ballerini A. C. definiscono la fenomenologia «un modo nuovo e diverso di vedere le cose» (il corsivo è mio)."

L. Calvi, Comprendre/ 10.